14-12-2015, 03:25 PM
E' un lungo articolo sulla rivista "Montagne 360" del maggio scorso.
Si tratta di una rivista di alpinismo professionistico, ma mi sembrava che l'argomento fosse comunque applicabile anche all'ambiente della neve e dello snowboard amatoriale.
Il senso dell'articolo e' che, da un po' di anni ormai, ci stiamo trovando davanti un sistema di norme e regolamenti i quali, nel nome della sempre piu' "severa" prevenzione delle conseguenze negative per i praticanti, stanno rischiando di imbrigliare le attivita' sportive con una intrinseca componente di rischio (piu' o meno elevato a seconda dell'attivita' considerata).
( mi pare di ricordare, ad es., che diverse volte le autorita' abbiano redarguito o multato chi surfava fuoripista, specie nel cantro Italia).
Questo eccesso di imposta sicurezza potrebbe paradossalmente portare ad una restrizione della liberta' di frequentazione della montagna, liberta' che e' proprio uno dei fondamenti della motivazione del praticante.
Recintata da regolamenti spesso molto restrittivi, questa liberta' sta sfumando e con essa la scelta consapevole di affrontare eventuali difficolta' (e anche rischi).
I divieti impediscono il diritto individuale scegliere dove, quando e come praticare, imparando e sapendo cosa significa esporsi al rischio di raggiungere i propri limiti, di praticare con scienza e coscienza... di comprendere i rischi, di affrontare gli imprevisti, di accettare puo' esistere anche l'imprevedibile e di conoscere le proprie capacita'.
Insomma, che si stia arrivando ad una "societa' di gestione dei rischi", tale da anteporre a tal punto la messa in sicurezza dell'individuo da non preoccuparsi piu' di castrare qualunque capacita' di autodifesa e di responsabilita' dell'individuo stesso?
Azzerare i rischi non potrebbe alla fine passare il messaggio che i rischi non esistano?
Si tratta di una rivista di alpinismo professionistico, ma mi sembrava che l'argomento fosse comunque applicabile anche all'ambiente della neve e dello snowboard amatoriale.
Il senso dell'articolo e' che, da un po' di anni ormai, ci stiamo trovando davanti un sistema di norme e regolamenti i quali, nel nome della sempre piu' "severa" prevenzione delle conseguenze negative per i praticanti, stanno rischiando di imbrigliare le attivita' sportive con una intrinseca componente di rischio (piu' o meno elevato a seconda dell'attivita' considerata).
( mi pare di ricordare, ad es., che diverse volte le autorita' abbiano redarguito o multato chi surfava fuoripista, specie nel cantro Italia).
Questo eccesso di imposta sicurezza potrebbe paradossalmente portare ad una restrizione della liberta' di frequentazione della montagna, liberta' che e' proprio uno dei fondamenti della motivazione del praticante.
Recintata da regolamenti spesso molto restrittivi, questa liberta' sta sfumando e con essa la scelta consapevole di affrontare eventuali difficolta' (e anche rischi).
I divieti impediscono il diritto individuale scegliere dove, quando e come praticare, imparando e sapendo cosa significa esporsi al rischio di raggiungere i propri limiti, di praticare con scienza e coscienza... di comprendere i rischi, di affrontare gli imprevisti, di accettare puo' esistere anche l'imprevedibile e di conoscere le proprie capacita'.
Insomma, che si stia arrivando ad una "societa' di gestione dei rischi", tale da anteporre a tal punto la messa in sicurezza dell'individuo da non preoccuparsi piu' di castrare qualunque capacita' di autodifesa e di responsabilita' dell'individuo stesso?
Azzerare i rischi non potrebbe alla fine passare il messaggio che i rischi non esistano?